Mi chiamo Lucrezia Ravera, sono una dottoranda in fisica teorica presso il Politecnico di Torino e il mio campo di ricerca è la Supergravità. La lettura che ho scelto è il romanzo "Un cuore così bianco", di Javier Marías.

venerdì 26 febbraio 2016

La Macchina della Comunicazione

La macchina protagonista del romanzo "Un cuore così bianco" (di J. Marias) è, a mio parere, "la macchina della comunicazione".
Comunicazione nel senso di condivisione, il "mettere qualcosa con gli altri". La macchina della comunicazione ha la funzione e lo scopo di trasmettere a qualcuno informazioni e messaggi. Lo schema di tale macchina si potrebbe riassumere nel modo sequente (in accordo con la teoria della comunicazione di Shannon e Weaver):

FONTE → CODIFICA → CANALE → DECODIFICA → DESTINAZIONE

La fonte codifica un messaggio, il quale diventa un segnale che viaggia in un canale e viene ricevuto e decodificato, in modo che al destinatatio giunga il "messaggio ricevuto" in forma comprensibile.


I modi di comunicare sono numerosi, come lo sono le informazioni che si possono trasmettere. Tuttavia è possibile individuare il meccanismo della comunicazione e le caratteristiche che sono comuni a ogni atto comunicativo. In "Un cuore così bianco" Marias fa spesso riferimento a diversi tipi di comunicazione e ne fornisce una profonda analisi, accompagnando così il ritmo del romanzo e "raccontando vari modi di raccontare". Si sofferma inoltre sulle funzioni e sulle consguenze del linguaggio e della comunicazione.

Ecco alcune citazioni tratte da "Un cuore così bianco" in cui traspare appunto la macchina della comunicazione come protagonista dell'opera (NOTA PER IL LETTORE: so che vedere tutte queste righe scritte sulla pagina di un blog potrebbe non invogliare alla lettura, ma consiglio vivamente di leggere le seguenti citazioni per intero, dal momento che non sono solo riferimenti alla macchina della comunicazione e della "Verità", ma anche alla vita, alla morte e a quelle esperienze della quotidianità che spesso vengono date per scontate, ma che sono tutt'altro che banali.):
  • "E ci si fa merito nel raccontare. All'Improvviso non ci basta più soltanto dire, accese parole che si consumano in fretta o diventano ripetitive. Non basta neppure a chi le ascolta. Chi parla è insaziabile e insaziabile chi ascolta, chi parla vuole destare infinitamente l'attenzione dell'altro, vuole penetrare con la lingua fino in fondo ("La lingua come goccia di pioggia, la lingua nell'orecchio", pensai), e chi ascolta vuole essere infinitamente distratto, vuole sentire e sapere sempre di più, anche se si tratta di cose inventate o false."
  • "Raccontare deforma, raccontare i fatti deforma i fatti e li altera, quasi li nega, tutto ciò che si racconta diventa irreale e approssimativo benché veritiero, la verità non dipende dal fatto che le cose siano o succedano, ma dal fatto che rimangano nascoste e non si conoscano e non si raccontino, appena si raccontano o si manifestano o si mostrano, anche in ciò che appare più reale, in televisione o sul giornale, in ciò che si chiama la realtà o la vita o addirittura la vita reale, passano a formare parte dell'analogìa e del simbolo, e dunque non sono più fatti, ma si trasformano in riconoscimento. La verità non riluce, come si dice, perché l'unica verità è quella che non si conosce e non si trasmette, quella che non si traduce con parole né con immagini, quella celata e non controllata, forse per questo si racconta tanto o si racconta tutto, perché niente sia mai accaduto, una volta raccontato."
  • "Quando non siamo insieme in qualche modo ne avvertiamo la mancanza (una vaga mancanza), una di quelle persone (nella vita di ognuno ce ne sono quattro o cinque, e sono le uniche di cui si soffre davvero la mancanza) che si è soliti informare su ciò che succede, ossia, a cui si pensa quando ci succede qualcosa, divertente o drammatico, e per le quali si conservano fatti e aneddoti. Le disgrazie sì accettano volentieri perché si potranno raccontare a queste cinque persone. «Questo lo devo raccontare a Berta», si pensa (io lo penso spesso)."
  • "Non che partecipasse alle conversazioni dei grandi, poiché non era pedante - ascoltava soltanto -, era piuttosto una tensione cupa a dominarlo, anomala per un ragazzo, che lo faceva stare sempre all'erta, a guardare dalla finestra, come chi guarda il mondo che gli passa veloce davanti agli occhi e a cui non è ancora permesso partecipare, come il prigioniero che sa che nessuno aspetta o rinuncia a nulla benché lui sia assente e che con il mondo che fugge se ne va pure il suo tempo; e questo lo sanno anche quelli che muoiono."
  • "Ogni passo compiuto e ogni parola pronunciata da qualsiasi persona in qualsiasi circostanza (nell'indecisione o nella convinzione, nella sincerità o nell'inganno) hanno ripercussioni inimmaginabili che colpiscono chi non ci conosce né lo pretende, chi non è nato o ignora che potrà temerci, e si trasformano letteralmente in tema di vita o di morte, tante vite e tante morti hanno un'origine enigmatica che nessuno avverte e nessuno ricorda, nella birra che abbiamo deciso di bere incerti di avere abbastanza tempo, nel buonumore che ci ha resi simpatici a chi ci hanno appena presentato, senza sapere che poco prima aveva urlato o fatto soffrire qualcuno, nella torta che volevamo fermarci a comprare mentre andavamo a pranzo dai nostri genitori e che alla fine non abbiamo comprato, nell'ansia di ascoltare una voce benché non c'importi quello che dice, e nell'audace telefonata che abbiamo fatto, nel nostro desiderio di restare a casa che non abbiamo esaudito. Uscire, e parlare, e fare, muoversi, guardare e sentire ed essere percepiti ci pone in un rischio costante, ma neppure rinchiudersi e tacere e stare tranquilli ci salva dalle conseguenze, dalle situazioni logiche e irrimediabili, da ciò che oggi è imminente e che quasi un anno fa era assolutamente inaspettato, o quattro, o dieci o cento anni fa, o anche solo ieri." 
  • "Ascoltare è davvero pericoloso, significa sapere, significa essere informato ed essere al corrente, le orecchie sono prive di palpebre che possano chiudersi istintivamente di fronte a ciò che viene pronunciato, non si possono proteggere da ciò che si presume stia per essere ascoltato, è sempre troppo tardi. Non è solo il fatto che Lady Macbeth istighi Macbeth, ma soprattutto che sia al corrente dell'assassinio un attimo dopo che è stato commesso, ha udito dalle stesse labbra del marito «I have done the deed», al suo ritorno, «Ho fatto il fatto» o «Ho commesso l'atto», benché la parola «deed» oggigiorno s'intenda piuttosto come «impresa». Lei sente la confessione di quest'atto o fatto o impresa, e ciò che la rende davvero complice non è averlo istigato, e neppure aver prima progettato e aver poi collaborato al crimine, aver visto il cadavere ancora caldo e il luogo del delitto per poi accusare la servitù, ma essere a conoscenza dell'atto e del suo compimento. Per questo vuole dargli meno importanza, non tanto per tranquillizzare Macbeth sconvolto con le mani macchiate di sangue, quanto per minimizzare e scacciare la sua stessa consapevolezza, proprio la sua; «I dormienti, e i morti, non sono che figure dipinte»; «Rilassa la tua nobile forza, non pensare alle cose con il cervello così cagionevole»; «Non si deve pensare in questo modo a questi fatti: così diventeremo pazzi»; «non perderti nei tuoi pensieri con tale afflizione.»"

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